...Benvenuti cari lettori, conosciuti e sconosciuti, di passaggio o appassionati, a cui auguro qui e ora, di trovare un piccolo granello da aggiungere al proprio mappamondo.

sabato 30 ottobre 2010

Ciao, e poi?



Ciao e poi? Si vorrebbe comunicare!
La parola “comunicazione” deriva dal latino cum-munus e in sé porta la radice del suo significato: con (cum) un dono (munus), e cioè “donare qualcosa a qualcuno”.
Difficile crederlo, o meglio sentirlo, in un’epoca in cui l’informazione spesso è corrotta e manipolata, le parole si dicono ma non si sentono, la voce urla e raramente si ferma per comprendere.
Il fatto è che delle parole non riusciamo proprio a farne a meno, ma poche volte ne scorgiamo i travestimenti e le maschere che gli affidiamo. E nella nostra torre di Babele troveremo:
la chiacchiera infinita che copre i sentimenti e permette all’Io di salvarsi dalla necessità di piangere, ridere, muoversi, esprimersi così com’è lontano dal senso di colpa e dal giudizio
il silenzio, che se viene usato “troppo” e senza consapevolezza, diviene un eloquente messaggio di distacco, usato spesso come forma di potere (l’omertà o il controllo), che offusca il vero senso di ciò che dovrebbe esprimere: riflessione e contatto
i comandi (fai questo, fai quello, che combini!, sbrigati!) forme categoriche che usurpano la libertà di colui che li riceve, ma anche di chi l’impone, giacché sottrae alla relazione il vero senso del rapporto, che si riduce al… se non fai, non sei, cioè non esisti
...l’informazione, la pubblicità, la televisione, e i mass media, di cui oggi possiamo dire che al 70% offrono input inquinati dalla manipolazione non solo economica, laddove la prima forma di mercenarismo, è quella di chi vende parole che offuscano la libertà di scelta del lettore/ascoltatore

Beh grazie. Una volta notate tutte queste contaminazioni di parole, dentro e fuori, che diventano ogni giorno cataboliti psichici, (vere e proprie tossine) che il corpo non vede l’ora di espellere o coprire, (alzo il volume della radio così non sento) …inevitabile è la richiesta interna di una lingua che sia vera.
Vera non significa assoluta, ma reale innanzitutto e ricca di senso, almeno nell’attimo in cui viene espressa, così seppur immatura o incompleta, comunque lascerà un segno positivo.
La comunicazione che collega, è trasversale, non riguarda né i ruoli e né le gerarchie. Non viene insegnata con le teorie ma trasmessa.
Per forza che molti studenti hanno smesso di studiare per ascoltare la musica, la poesia, o la radio. Perché sono atti comunicativi più soggettivi e presenti, e perché “le menzogne, le ipocrisie, le crudeltà e la vacuità burocratica con le quali l’uomo contamina le parole, offuscano il senso della pagina, a spese del tutto (l’uomo), che non è più uno” dice Jung. E da un bel pezzo, aggiungiamo noi.
Ora come ora, le parole risultano spesso frantumate e frammentate come le emozioni. In questo senso stiamo ritornando all’ermetismo, perché pretendiamo di esprimere mille sfumature di carattere con uno slogan, perdendo quella radice di arte e cultura che poi ci appartiene per dna.
Ci conviene?
E’ vero che il nostro encefalo è pieno di buchetti da colmare, ma vista l’esperienza di circa 35.000 anni di evoluzione, possiamo affidargli il compito di comprendere che nelle nostre parole c’è un suono, che se collegato al piacere, alla vita, all’eros in senso puro, all’espressione della gioia e dei suoi contrari, si realizza una coincidenza in cui ciò che è semplicemente detto, vibra.
Quando le parole trovano il loro significato, cioè il loro posto, fuori e dentro il nostro corpo, fuori e dentro il nostro mondo, si realizza quella corrispondenza di amorosi sensi, che svela la vera natura di codici sequenziali, alfanumerici, che messi insieme e agiti (nel meta-linguaggio) hanno il potere di raggiungere il loro scopo evolutivo.
Così la torre di Babele potrebbe collegare diversi linguaggi, dove…..
…la chiacchiera infinita possa diventare entusiasmo contagioso
…il silenzio, spazio di autoaffermazione e pausa
…il comando, consiglio assertivo che lasci la libertà di scelta
…l’informazione, divenire trasparente, utile e…soprattutto accertata dai fatti

C’è da dire che queste potrebbero essere solo altre belle parole che non tengono conto della difficoltà di essere accoglienti in determinate situazioni sociali.
Beh, quando ci imbattiamo in delle specie di anfiossi, involuti, a-comunicativi e anaffettivi, non è detto che non possiamo andarcene.
Ricordiamoci che i dinosauri prima o poi sono destinati all’estinzione e come uomini e donne possiamo sempre e in ogni momento scegliere gli "habitat" migliori all’espressione della nostra personalità e del nostro intero essere.

venerdì 15 ottobre 2010

La rabbia primaria: se si trasforma è una spinta evolutiva



All’origine della rabbia c’è un trauma, un’esperienza di grave shock emotivo che provoca al nostro benessere psicologico un danno duraturo. Si sperimenta un trauma quando si è intensamente sopraffatti da una minaccia percepita o da una violenza realmente subita. “Può trattarsi di un singolo, grave episodio di perdita, violazione, o di un’ingiustizia, o di un’atmosfera cronica di paura e abbandono.
Quando nell’infanzia subiamo un trauma, la nostra mente non riesce a farsene una ragione poiché “emotivamente” immatura, ed è il nostro corpo ad assorbirne l’intero impatto. Data l’età, non potevamo fuggire materialmente, perciò il tentativo di fuga è mentale grazie ad un processo psicologico noto come scissione che ci protegge dal ricordare-risperimentare i traumi subiti. Separando le sensazioni del corpo dai pensieri, la “liberazione della rabbia si interrompe e resta imprigionata nel corpo, mentre la mente viene portata altrove in salvo”.
Ma l’individuo,  nelle memorie cellulari, a livello inconscio continua a ricordare l’evento e a celare il dolore nella tasca, per cui cercherà di evitare ogni cosa o persona che minaccia di metterlo in contatto con quell’emozione primaria.
Ma dall'altra parte, l’adulto-bambino, si ritroverà al tempo stesso a desiderare ardentemente quei contatti, che per quanto negativi hanno segnato il suo imprinting, inseguendo in una coazione a ripetere relazioni conflittuali, che coincidono con il suo concetto d’amore. Diviso.
C’è inoltre da dire che la rabbia e la vergogna sono legate l’una all’altra in una complessa, simbiotica lotta e  “competono” l’una con l’altra, per vedere soddisfatte le loro necessità opposte. La rabbia per esempio vorrebbe poter dire la verità, mentre la vergogna cerca la protezione e la sicurezza. La rabbia vorrebbe combattere, imporsi, persistere; la vergogna vorrebbe sprofondare, nascondersi, arrendersi. Sono due energie opposte che si eccitano a vicenda: quando una si attiva, invariabilmente fomenta l’altra.
Molto spesso l’esito dell’opposizione è la proiezione all’esterno di una delle due parti indesiderate e spesso esteriormente, possiamo assumere “travestimenti” inconsci. Questi travestimenti ombra assicurano un falso controllo di gestione della realtà minacciosa, ma ognuno ahimè ha un polo opposto che viene temuto, desiderato, evitato, e in ultime analisi...messo in pratica!
Il dominio è terrorizzato dall’idea di essere dipendenti; la dipendenza evita di assumere il controllo della propria vita; la dedizione rifugge gli atteggiamenti sprezzanti della provocazione; la provocazione ritiene che compiacere il prossimo sia manipolarlo e ne violi la libertà; la depressione teme e rifugge l’irrequietezza e la velocità della distrazione; mentre quest’ultima rifugge la quiete e l’inerzia della depressione. 
E nella società?
Il potente è terrorizzato dall’essere spodestato dai sottoposti; i sottoposti non osano pensare di essere liberi; la santa disprezza la ribelle e la prostituta; la prostituta non riesce a pensare ad un rapporto di scambio reale che non sia commerciale; il sedentario  teme la velocità dell’atleta; lo sportivo agonista rifugge il silenzio e la lentezza del sedentario. Il problema è che con il tempo le maschere possono diventare un falso documento d’identità su un palcoscenico che è nella zona di confine (dei disturbi di personalità). E daremo una presentazione che non coincide affatto con il senso della realtà ma con l’opinione altrui. Che ci alza, ci abbassa, ci stringe, ci allarga, come un vaso di creta indefinito e prostituente.  Ma che non siamo Noi.

Spesso questa tensione individuale è legittimata e nascosta in un contenitore gruppale condiviso di frasi e credenze, che funzionano da alibi e spostano l'emozione latente del proprio conflitto primario (seno buono-seno cattivo) sull’ambiente circostante,con frasi del tipo “l’ingiustizia deve essere punita”; “bisogna difendere la patria/il Re/la giusta causa”; “è una questione di principio”; “non appartiene alla mia razza/fazione/squadra”; “è una questione d’onore”; o con pregiudizi sociali: “a dispetto del sincero bisogno di non esserlo, sono un sessista. Penso che chi ha potere è maschio; e i maschi devono avere la leadership”; “le oche giulive, le regine del focolare e le ragazze carine sono in genere così superficiali”; “considero offensivo l’intero universo omosessuale”.
Questo è uno dei motivi, per cui, soprattutto in questo periodo storico sono importanti nelle dinamiche di gruppo, quelle figure ponte, come i mediatori culturali, i peacemaker, i moderatori, per fare incontrare i poli opposti attraverso un termine mediano: la comunicazione. Proprio come fa il terapeuta fungendo da ponte, e canale tra l’Io esterno e l’inconscio. La rabbia dell'ambiente non è altro che l’ombra di una paura individuale, che una volta portate alla luce e integrate possono far emergere la parte più dinamica della personalità, come la forza, la volontà, la capacità decisionale, la possibilità di partecipare in maniera attiva e creativa alla realizzazione di progetti e scopi collettivi utili.
E non c’è Caino senza Abele e viceversa. Per uscire dai ruoli stereotipati della vittima e del carnefice saranno utili quegli strumenti di “liberazione terapeutica” come workshop ad hoc di comunicazione emotiva, che mediante tecniche psicosomatiche come la bioenergetica o gli psicodrammi per esempio, possono essere un ottimo strumento di catarsi collettiva. Sia per portare alla luce dinamiche di rimozione, spostamento e negazione delle emozioni, sia per dare voce (proprio urlando se serve), a ciò che dentro ha bloccato l’energia vitale.  
La rabbia allora è un’opportunità.
Per vedere dove il proprio talento è stato fermato e ha creato in noi una crisi.
Per recuperare una zona del corpo muta; per parlare e far riparlare la propria paura. Per ritrovare il coraggio, per definire ed esprimere uno shock. Per diventare padroni della propria esistenza, affermare la propria identità. Per ricreare un’armonia con l’altro attraverso una comunicazione emotiva profonda che non passi per contrapposizioni delle parti… ma per il NOI, che insieme possiamo risolvere un conflitto, perché l’insieme è maggiore della somma delle parti.
E questo gruppo coeso è l’inizio della socializzazione vera. 

Che non è fatta di alleanze, omertà, richieste o dictat, aderenza a codici altrui, e promesse di ricompense/punizioni, consulenze, gratificazioni o servizi, ma di un mutuo scambio, basato sulla reciprocità.
Quando la pulsione “aggressiva” raggiunge il suo scopo evolutivo, possiamo dire che il tutto si è svolto nell’ambito della “normalità” dell’uomo che a quel punto impara che la rabbia era semplicemente Energia che voleva essere sentita ed integrata nel Sè.