...Benvenuti cari lettori, conosciuti e sconosciuti, di passaggio o appassionati, a cui auguro qui e ora, di trovare un piccolo granello da aggiungere al proprio mappamondo.

sabato 14 agosto 2010

La sessualità e l'amore

L’amore può essere espresso sia fisicamente che spiritualmente e una forma non elimina l’altra.
In un individuo non nevrotico, la spiritualità contribuisce alla sessualità e viceversa.
Ma allora da dove nasce la frustrazione nella vita sessuale?
Spesso non deriva dalla mancanza di occasioni di esperienze, ma da un’incapacità di ottenere la felicità e l’appagamento che l’amore sessuale promette.
W. Reich descrisse bene il concetto per cui la struttura caratteriale di una persona è funzionalmente identica al suo atteggiamento fisico, il quale dovrà essere preso in considerazione per capire i disturbi della personalità e della funzione sessuale.
La repressione di un desiderio o l’inibizione di un atto sono sempre associate a certe modificazioni fisiche che distorcono la forma e la motilità del corpo in modo caratteristico.
Per esempio una persona che non riesce ad esprimere il pianto, con la gola contratta e la mascella cronicamente serrata, può rivelare nel corso di una terapia che il suo impulso a succhiare (soddisfazione orale) è stato gravemente inibito.
L’incapacità di esprimere i propri sentimenti può essere strettamente collegata all’impossibilità provata nell’infanzia di affermare i propri bisogni di fronte alla madre.
Oppure una persona che non riesce a stare “sui propri talloni” e che può cadere all’indietro con una lieve spinta, può riflettere l’incapacità di resistere alle pressioni altrui e alle proposte aggressive dell’uno o dell’altro sesso.

Il corpo cioè è un terreno comune dove si incontrano il sesso e la personalità, e ogni disturbo del corpo si riflette ugualmente sulla personalità e sulla funzione sessuale.
Da un punto di vista fisico sono molti i fattori che determinano la risposta sessuale di una persona:
- La sua vitalità (le condizioni di fatica e gli stati di esaurimento diminuiscono considerevolmente i desideri sessuali di un individuo. Le persone fisicamente stanche possono manifestare un desiderio sessuale apparentemente forte, tuttavia la scarsità d’energia riduce in misura notevole l’intensità della risposta finale. Molti non si rendono conto del loro scarso potenziale di energia, poiché passano da stati di euforia e stati di depressione, ignorando il rapporto esistente tra stati psichici e la stanchezza cronica che è alla base.)
- La motilità fisica (la rigidità del collo, caviglie, ginocchia, anche , collo), o l’esagerata motilità (“avere poca spina dorsale”), rappresentano blocchi nell’espressione dei sentimenti o condizione patologiche a livello di personalità (ego debole e uno scarso senso della propria individualità).

La personalità e la sessualità sono cioè condizionate dalle funzioni del corpo e in quest’epoca “sofisticata”, uno dei maggiori limiti è quello di compiere l’atto sessuale come un’esibizione. La prestazione così ha un carattere coattivo, fondato sul bisogno d’impressionare se stessi e gli altri con la propria bravura amatoria, e include in sé la paura del fallimento.
Quando questa prigione viene ridotta o eliminata con una terapia analitica, emergono i veri sentimenti dell’individuo, che spesso si cela dietro ad un ego mascolino (gonfio il petto e sviluppo i muscoli) che non è altro che la difesa nei confronti del bambino che è nel suo profondo.

Ma se un individuo non compie più l’atto sessuale come un’esibizione per sé o per il partner come può fallire?

Spesso dietro la paura del fallimento, si nascondono ansietà, ostilità e sensi di colpa, che derivano dalla proiezione sul partner degli stessi sentimenti di ostilità/dipendenza verso la propria madre.
Se la Madre è nell’immaginario del bambino la “mamma buona”, fallire nella prestazione sessuale, significa poter realizzare finalmente il complesso di edipico e permettersi di superare il tabù dell’incesto, che è una tappa fondamentale affinchè si maturi la sessualità completa e integrata nell’adulto. Ben venga il fallimento allora, che si scoprirà essere una forma di auto-giudizio, auto-valutazione rispetto all’imprinting del dover “essere un bravo bambino” a tutti i costi.
Concedersi la possibilità di sbagliare, di fallire, di perdere…significa integrarsi in una sfera adulta dove l’amore non è più percepito come una relazione simbiotica del bambino che obbedisce al genitore, ma che si realizza nella Persona Adulta autonoma, con la sua personalità indipendente dal giudizio (onnipotente) del genitore che teme.
Il fatto è che la sessualità non ha bisogno di giustificazioni.
E’ una funzione biologica alimentata dal piacere e dal soddisfacimento che procura. L’uomo è un mammifero placentale: se non riesce ad accettare la propria natura animale come parte del suo retaggio biologico, lotterà per forza con il senso di colpa e la vergogna originati dalla sua sessualità.
Il fatto peculiare è che l’amore accresce la tensione dell’attrazione sessuale, perché la percezione della distanza, che definisce le differenze e ne accentua individualità (siamo in una relazione adulta di due persone definite), intensifica la consapevolezza della persona amata.
In mancanza di tendenze dissociative che spezzino l’unità della personalità, più spiritualità significa più sessualità. L’amore soddisfatto biologicamente non è illusorio. E’ profondo perché è stato messo alla prova di fronte alla realtà e rafforzato dal piacere. E' vasto perchè i buoni sentimenti si estendono a  tutto il  mondo. Il contatto è caldo e il corpo e il cuore non tradiscono.

Tratto da "Amore e Orgasmo" di Alexander Lowen.

mercoledì 11 agosto 2010

L'Empatia




E se qualcuno venisse verso di noi con alcuni tratti fisici particolari o con un’espressione  particolare dicendoci: “Io sento gioia”, noi immediatamente capiremmo che cosa sta vivendo?  
Il vissuto dell’empatia è un vissuto che ci pone in relazione con gli altri, ma non significa identificazione nell’altro, detta unipatia. Ciò che è individuale si coglie proprio attraverso il sentire, ma il sentire nel senso che io riesco a capire che l’altro è simile a me, come me, ma diverso da me, pur nella comunanza di un rapporto. Carl Rogers diede all’empatia un ruolo centrale nel suo impianto teorico. Nella sua definizione riemerge il concetto di immedesimazione non fusionale:
“ …lo stato di empatia, dell’essere empatico, è il recepire lo schema di riferimento interiore di un altro con accuratezza e con le componenti emozionali e di significato ad esso pertinenti, come se una sola fosse la persona - ma senza mai perdere di vista questa condizione del  come se. Significa perciò sentire la ferita o il piacere di un altro come lui lo sente, e di percepirne le cause come lui le percepisce, ma senza mai dimenticarsi che è come se io fossi ferito o provassi piacere e così via. Se questa qualità di come se manca, allora lo stato è quello dell’identificazione”.
Per Rogers l’empatia è il fattore più importante nell’ingenerare un cambiamento nel paziente, e prepara, per usare le sue parole, il successo futuro. La competenza empatica non è un’operazione di tipo cognitivo e quindi non può essere acquisita mediante un apprendimento teorico ma attraverso l’esperienza formativa, professionale e di vita quotidiana. Anche Karl Jaspers operò una distinzione tra comprensione razionale e comprensione empatica, che non è correlabile alle proprie capacità intellettuali o a titoli accademici. L’esperto dunque non è necessariamente una persona empatica. L’essere empatici è qualcosa di  più complesso che richiama aspetti psicologici, spirituali e biologici…che riguarda  il tempo opportuno, la sincronicità nella quale si incontrano la persona e l'operatore che lo aiuta nella sua capacità di coglierne il linguaggio metaforico e simbolico, ed entrare in risonanza con ciò che esprime l’altro.
Va anche detto che empatia, non significa “simpatia”, che riveste sicuramente un ruolo importante nelle relazioni umane e può esprimersi nel riconoscimento del trauma o dell’emozione provata dal destinatario, ma non tenta in alcun modo di raggiungere un vero insight della natura o della qualità di quella esperienza.
L’empatia a differenza della simpatia riguarda la comprensione del punto di vista individuale e unico di chi ascoltiamo, che rende possibile di comprendere la sua struttura interna di riferimento. Anche se non si può certo ridurre ad una serie di atteggiamenti da imparare e circoscrivere in un elenco, i seguenti punti, offrono un ventaglio di spunti per avvicinarsi al tipo di sensibilità richiesta nel setting terapeutico. Empatia è poter…
- mostrare interesse per l'altro e per le sue esperienze, comprendendo e usando il suo linguaggio;
-   avere la capacità di stabilire un rapporto emozionale mediante l’ascolto attivo, con una opportuna capacità di immedesimazione senza farsi sommergere emotivamente dai suoi problemi;
-   far sentire chi abbiamo di fronte valorizzato e degno, fiducioso e motivato;
-   sentire l’altro e percepirne la dimensione affettiva senza giudizio, con amore e cura.
Se si instaura una relazione calda, affettuosa ed empatica, la persona aiutata si sentirà rispettata e protetta, sino a “permettersi” di esprimere taluni aspetti del suo vissuto negati o rimossi, che costituiscono quindi i nodi delle crisi. Nella visione di Rogers insieme all’empatia, sono altre due le caratteristiche da cui non si può in alcun modo prescindere, per una relazione d’aiuto: congruenza ed accettazione positiva incondizionata. Ciò significa che se vogliamo aiutare qualcuno è necessario guadagnarsi la sua fiducia, avere profondamente rispetto per la sua persona, e di valorizzarlo per quello che “è” come “essere” , cioè farlo sentire in ogni circostanza “una persona che ha valore”.
Quest’ultimo elemento è correlato ad una profonda accettazione dell’altro, in modo “non condizionato” dalle nostre aspettative, sospendendo qualsiasi forma di giudizio o pregiudizio nei suoi confronti, altrimenti la nostra capacità di aiutarlo è compromessa. Ora, questo non è sempre umanamente possibile, ma è bene avere la consapevolezza che è l’obiettivo a cui tendere se vogliamo essere davvero di aiuto agli altri.
Come è possibile riuscire a non essere giudicanti all’interno di un setting terapeutico? La prima cosa è sforzarsi di immaginare il mondo quale lo vede l’altra persona. E’ un mondo caratterizzato da valori, atteggiamenti e convinzioni che non coincidono necessariamente con i nostri. Entrare in questo mondo, può rivelarsi difficile, e giudizi su atteggiamenti e valori potrebbero essere automatici, ma è necessario saperli mettere comunque da parte, in modo da lasciare all’altra persona tutto lo spazio che le serve per esprimere i suoi vissuti emotivi di “segno negativo”. E allo stesso tempo è importante essere “congruenti”, ovvero, intraprendere una relazione d’aiuto non significa indossare i panni di qualcuno che non si è, assumere un ruolo salvifico o travestirci di un’identità che non è la nostra. Al contrario, occorre essere autenticamente noi stessi (congruenti), affinché l’altro si possa fidare di noi.

domenica 8 agosto 2010

La Potenza del Pensiero


Un uomo fa parte di un Tutto...

"Un uomo fa parte di un insieme di cose chiamato "Universo"; egli è una parte del Tutto, limitata nello spazio e nel tempo. Egli sperimenta se stesso, i suoi pensieri ed i suoi sentimenti, come qualcosa di separato dal Tutto: una specie di illusione ottica generata dalla sua mente. Questa illusione crea una specie di prigione per ognuno di noi; una gabbia mentale che restringe i nostri affetti e desideri personali al ristretto cerchio di persone che ci sono più vicine.
Il nostro traguardo consiste nel liberarci da questa visione distonica, allargando la nostra compassione fino ad abbracciare tutte le creature viventi e tutta la natura nella sua bellezza. E’ arduo raggiungere questo traguardo completamente, ma la lotta per raggiungerlo fornisce, da se stessa, una parte della liberazione ed il fondamento per la vera sicurezza interiore" (Albert Einsten).

Le radiazioni del pensiero

È stato dimostrato che i pensieri altro non sono che un frutto di comunicazioni a varie frequenze di onde fotoniche (biofotoni) che possono essere proiettati anche a distanze incredibili. I pensieri sono simili ai campi frequenziali ed elettromagnetici e sono frutto di un complesso meccanismo energetico legato alla particolare funzione "ricetrasmittente" del DNA di certe cellule, che sarei propenso a definire nervose. Questa funzione potrebbe influenzare a cascata altre cellule sia in maniera positiva, producendo un biometabolismo armonico ed equilibrato, sia in maniera negativa.
Ogni pensiero che abbracciamo, ogni fantasia che abbiamo per provare una qualche emozione, crea un sentimento nel nostro corpo che viene registrato nella nostra coscienza, a livello profondo. Questo sentimento crea poi il presupposto per gli avvenimenti della nostra vita, perché attirerà a noi quelle circostanze che corrispondono al sentimento già registrato nel nostro inconscio ed esse lo ricreano. I nostri "pensieri" sono arbitri della nostra salute o della nostra malattia, essendo essi, in un certo senso, il frutto di emissioni di particolari e spesso delicate onde radianti.

Tutti noi siamo collegati l'un l'altro

Tutto ciò che esiste nell'universo è costituito da contatti, da legami. Anche il nostro corpo fisico è un insieme di fili e di collegamenti che, secondo i casi, sono denominati fibre, linee, nervi, canali, vasi, chakra, tessuti... Se foste chiaroveggenti, vedreste inoltre che tutti gli esseri sono coinvolti in legami che vanno in ogni direzione. E poi gli uomini credono di essere separati gli uni dagli altri, liberi e indipendenti!
Anche solo quando pensate a qualcuno, già vi unite a lui, poiché i pensieri sono dei veri collegamenti, dei fili. Se volete far del male, il vostro pensiero è come una corda, un laccio che gettate per attirare la persona, catturarla e distruggerla. Se invece sentite per lei molto amore, il pensiero costituisce un condotto attraverso il quale la alimentate, un legame che create fra la persona e ciò che esiste di meglio per aiutarla e illuminarla. Che siano ispirati dall'amore o dall'odio, i pensieri e i sentimenti sono comunque dei legami.

Le forme-pensiero o "elementali artificiali"

Seppur in modo inconscio l'uomo è un creatore continuo, infatti quando pensa, parla, desidera, soffre, gioisce, ecc., crea delle strutture energetiche attorno a sé, che saranno tanto più potenti e resistenti, quanto più forti sono stati i pensieri, i sentimenti, i desideri, e le emozioni che le hanno generate. In questo modo viene a crearsi una struttura energetica vitalizzata che prende il nome di "forma-pensiero".
Una forma-pensiero si può paragonare a un accumulatore di energia pronto a scaricarsi, o a caricarsi ancor di più, se trova delle vibrazioni simili a quelle che l'hanno generata.
Talvolta la forma-pensiero viene anche chiamata "elementale" o "elementale artificiale" e può mostrare molte e svariate forme e colori dovuti all'essenza elementale da cui è costituito. 


Le forme-pensiero personali e i fenomeni correlati

Se la forma-pensiero è egoistica o egocentrica (come lo sono la maggior parte dei pensieri), vagherà costantemente intorno al suo creatore, sempre pronta a reagire su di lui ogni qualvolta egli si trovi in condizione di passività. Prendiamo, per es., il caso di un uomo che si abbandona sovente a pensieri inopportuni; egli potrà dimenticarli fintanto che la sua attenzione è occupata nel fare qualcosa, ma quando l'attenzione cala e la mente non è più concentrata, quelle forme-pensiero  (che gli aleggiavano intorno), lo assaliranno inducendolo in azioni inopportune. Se tale individuo è sufficientemente intelligente potrà rendersi conto di quanto avviene e forse pensare di essere "tentato dal male". In realtà la tentazione gli viene dall'esterno solo in apparenza, perché è solo la logica reazione delle forme-pensiero che lui stesso ha creato a livello inconscio.
Ogni individuo si muove nello spazio, racchiuso in una specie di gabbia, costituita dalle forme-pensiero frutto delle sue abituali attività mentali; questa "gabbia" costituita da idee cristallizzate, pregiudizi e preconcetti, gli impedisce di vedere le cose nella loro giusta luce e lo porta ad interpretare ciò che vede e sente in modo del tutto personale. Pertanto un individuo non vedrà mai nulla con precisione, finché non avrà raggiunto il completo dominio dei propri sentimenti e dei propri pensieri.

Ogni pensiero ed ogni parola creano...

Ogni pensiero che abbracciate, ogni fantasia che avete per provare una qualche emozione, crea un sentimento nel vostro corpo che viene registrato nella vostra anima. Questo sentimento crea poi il presupposto per gli avvenimenti della vostra vita, perché attirerà a voi quelle circostanze che corrispondono al sentimento già registrato profondamente nell’inconscio ed esse lo ricreano.
Pensate che le cose vi accadano semplicemente per caso? Non esiste il caso o la coincidenza e nessuno è una "vittima"; della volontà o dei piani altrui. A livello sottile, voi avete già pensato e sentito tutto ciò che vi accade nella vostra vita. Lo avete prodotto fantasticando sul "come sarebbe? se...", o temendo qualcosa, o accettando come verità ciò che qualcun altro vi ha detto.
Tutto ciò che accade, accade come atto intenzionale del pensiero e delle emozioni. Tutto!
Pensate ai giornali ed ai notiziari TV, vi rendete conto di come sono impostati? Essi riportano sempre e solo tutto ciò che vi è di negativo e disarmonico nel mondo: guerre, violenza, delitti, furti, truffe, scandali, ecc. Parlandone tutti i giorni e facendo convergere i pensieri di milioni di persone su questi concetti, essi contribuiscono a creare e mantenere in vita forme –pensiero negative e focalizzate sulla sfiducia.
Pensare a ciò che è armonico e che unisce, aiuta a mantenere una frequenzialità alta, e ad esprimere il potere creativo della mente e del cuore di ognuno, che alimenta i circoli virtuosi della fiducia e dell’immaginario positivo per il futuro.

(da "La potenza del Pensiero" di F. Giovanetti, psicologo)

I meccanismi di difesa: l'intellettualizzazione e la razionalizzazione


L'intellettualizzazione 
L’intellettuale dice:
dovremmo parlare più di filosofia, di storia, di concatenazioni di eventi a cui non riesco a rispondere, in questa società che tribola e traballa, e dove, dopo anni di lotta l’uomo non ha imparato ancora nulla..quindi, dicevo, parliamone…io sto bene, ma bisogna fare qualcosa per gli altri.”
Probabilmente fuor di metafora vorrebbe dire: 
Io non mi sento per niente bene, provo un profondo disagio nel contesto in cui vivo, e non so se questo è riconducibile a me o agli altri. Cosa ho fatto in questi anni? Mi sento angosciato e profondamente confuso, non so dove andare.”
Nel meccanismo dell’intellettualizzazione c’è un’operazione inconscia di difesa, di fronte al dolore e alla sofferenza di “qualcosa che provo e che temo, e non posso dire” se non in altri termini: filosofici, logorroici, verbali, arzigogolati o logici. 
Ma tutti con una cosa in comune: sono slegati dall’emozione.
Cioè, intellettualizzo tutto e tutti, per capire (ancorato al “perché” delle cose, e non al loro “essere”) se alla fine di questo fiume di parole c’è una chiave risolutiva per il mio Sé, che si è perso nel labirinto della mente, chiamata in causa incessantemente per rispondere meccanicamente all’imperativo: 
“Non devi provare assolutamente nulla”.
La domanda che posso pormi allora è la seguente: “Se smettessi di intellettualizzare che cosa succederebbe? Cadrei nella mia stupidità di essere umano che sente e che prova emozioni”.
Ben venga la stupidità allora per l’intellettuale, che ha sempre il timore di sbagliare per il giudizio mordace dell’esterno, agli occhi del quale dovrà apparire perfetto e imperturbabile. Con un appropriato processo di “smantellamento” di sovrastrutture rigide e unilaterali, ogni suo errore (percepito in questi termini dal soggetto), e ogni sua espressione emotiva, saranno una vittoria per il suo essere, che imparerà piano piano a sentirsi in libertà, senza così tanta coercizione da parte di un Super-Io estremamente preponderante e critico .
Vorrei concludere la descrizione di questo meccanismo di difesa, con una frase che ho letto sul testo di Leo Buscaglia “La coppia amorosa, la sfida delle relazioni umane”, che a mio avviso definisce chiaramente l’inversione che l’intelletto mette in atto di fronte alle emozioni, e che mostra altresì come questo disturbo sia diffusissimo sia a livello individuale, che sociale, nei suoi messaggi meta-verbali che funzionano da rafforzo negativo:
“…Viviamo in una società nella quale amore e impegno sono considerati retorici, assurdi e fuori moda. Gli scettici, armati di ironia e di battute taglienti, sono sempre pronti a gettare il ridicolo su chi continua a parlare di cuori infranti, di solitudine crudele e del mistico potere dell’amore. Se ami, ti considerano ingenuo; se sei felice, frivolo oppure facilone; se sei altruista e generoso, vieni guardato con sospetto. Se sei capace di perdonare, ti giudicano debole, e se hai fiducia uno sciocco. E se provi a essere tutte queste cose insieme, allora sono convinti che tu stia bluffando.”
Ecco perché poi è più facile credere che l’intelletto sia “superiore” al cuore, quando invece spesso è proprio l’esatto contrario… “il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce” (Bateson).

La Razionalizzazione
Premettendo che sul punto di scrivere, stavo annotando la parola come “ritualizzazione” invece di “razionalizzazione”, questo lapsus mi fa cogliere lo spunto, che questo meccanismo di difesa, anch’esso a carico del pensiero e dell’intelletto, in qualche modo sia legato alla modalità nevrotica ossessivo - compulsiva: “razionalizzare” diventa un rito, laddove l’Io risponde ad un comando ricevuto nell’infanzia, anche in questo caso collegato al “non sentire” e al divieto di espressione del proprio Sé, in tutte le sue sfumature (“non puoi sentire, non farti sentire, non parlare..”).
Così la razionalizzazione diviene lo strumento più “vicino alla realtà”, con il quale si può dire ciò che si prova senza esserne veramente i soggetti. E’ il pensiero che riferisce l’azione o l’evento, completamente svuotato e deprivato del suo contenuto .
Esternamente si può riconoscere il meccanismo quando divento lo “psicologo, autodidatta” dei miei stati d’animo, assumendo il ruolo di “salvatore” dell’altro e di me stesso, reinventando teorie e massimi sistemi, assolutamente plausibili e esaustivi per la platea e il senso comune, ma che in profondità esprimono il dolore dell’Io che dice: “Mi sento male, come imbottigliato nei miei pensieri; non posso esprimermi così come sono perché è sconveniente, privo d’importanza e senza una causa razionale. Nessuno mi capirebbe. L’unica salvezza sono le parole con cui dimostrerò che ho assolutamente ragione, perché Io ho ragione, come potreste negarlo? Devo analizzare tutto affinché non mi sfugga qualche dettaglio che provi il contrario."
(Si noti che si risponde coerentemente al messaggio imposto: “il tuo dolore è una fantasia ed è privo d’importanza”, con una forma di rimuginazione e dubbio su ciò in cui si ha fede cieca: la ragione. Cioè l’Io è vittima di un paradosso!).”In questo spostamento c’è un allontanamento dal cuore, manifestato spesso da un senso di disagio e di pudore nell’esprimere ciò che si prova veramente.
Far cadere le maschere del “filosofo” (intellettualizzazione) e dello “psicologo per caso ma espertissimo” (razionalizzazione), entrambe prive di affettività e emozioni in quanto scindono psiche e soma, è un processo arduo, perché spesso questi aspetti si cronicizzano a tal punto da diventare parte integrante del carattere, che senza quella caratteristica (che in realtà è una difesa), si percepisce disfunzionale. Per queste due figure, ricontattare le emozioni nella loro semplicità, passa per l’ammissione di un’incapacità (percepita tale o come colpa): quella di sentirsi e di amarsi. 
E come potrebbero gli intellettuali e i razionali ammettere di essere incapaci o colpevoli di qualcosa, avendo fondato le loro strutture sulla facoltà intellettiva e sulla morale?
Questo è un traguardo possibile se all'interno di un percorso terapeutico, ci verrà trasmesso empaticamente che per essere amati non è necessario sapere, né tanto meno dare informazioni o risolvere problemi. E che in realtà l’essere amati non è una conquista di merito, ma un principio d’amore umano e divino per il quale non bisogna fare assolutamente niente, fuorché Esserci.

Lo Yin e Lo Yang . L'armonia nel'Uno


Nella medicina tradizionale cinese la malattia è vista come qualcosa inerente l’uomo come parte del Tutto, inscindibile nel suo insieme di corpo, mente e spirito. Quest’approccio deriva da una matrice filosofica che parla dell’armonia delle singole parti e dei cosiddetti “contrari” e prende origine dal Taoismo, che tende a spiegare le sostanze e le sue manifestazioni attraverso concetti come il Ch’I, lo Yin e lo Yang. Il Ch’I è la Forza Vitale, che consente l’esistenza di tutto e tutti: se essa si muove liberamente allora siamo in uno stato di armonia e salute; altrimenti si va verso uno stato di malessere e di sofferenza genericamente definito “malattia”. Le forme attraverso cui l’energia scorre incessantemente in ciascuno di noi e all’interno di qualsiasi forma d’esistenza sono infinite, ma alla base di ciascuna ci sta la contrapposizione e l’integrazione dei due principali aspetti che i cinesi definiscono Yin e Yang. L’Uno è l’Energia, il Ch’I, che produce due forme di manifestazione, lo Yin e lo Yang, e si manifesta con TRE. Non esiste niente che sia completamente Yin o Yang perché come ben esprime il simbolo del Tao, all’interno della parte più estesa di ciascuna metà, è compresa una piccola parte del suo opposto. Yin e Yang non possono esistere l’uno senza l’altro, dunque sarebbe più giusto parlare di qualcosa che è prevalentemente Yin o Yang. Ma si potrà definire prevalentemente Yang: il cielo, l’uomo, il sole, l’estate, l’azione; prevalentemente Yin: la terra, la donna, la luna, l’inverno, la ricettività.
L’uomo si manifesta come TRE, perché si pone come unione di terra e cielo, ossia di Yin e Yang, e “produce diecimila esseri”, cioè ogni uomo, nell’uguaglianza con gli altri esseri grazie alla bipolarità e complementarietà tra Yin e Yang, produce infinite possibilità e riesce a manifestarsi sotto multiformi ed infinite espressioni in quanto egli stesso espressione unica ed irripetibile. Se l’uomo si integra con queste “leggi” sarà in uno stato di salute ed equilibrio, altrimenti rischierà di entrare in uno stato di malessere e sofferenza.



Nel  simbolo del Tao lo spazio è diviso in due colori opposti.. Lo Yin è nero perché lo Yang è bianco, non esistono spazi grigi all'interno del diagramma. Le due spirali rappresentano la discesa ed ascesa degli aspetti opposti di ogni energia del cosmo. Il Simbolo pertanto è una simmetria rotazionale ciclica: la spirale bianca ha l'inizio dove finisca la spirale nera; essa si avvolge ed aumenta fino ad un massimo, ma poi manifesta in se stessa la sua tendenza opposta (puntino nero) che appunto a partire da questo momento si svolge. Anche questo aspetto raggiunge un massimo finché si manifesta la tendenza opposta (puntino bianco), che si avvolge e così via, ciclicamente. Il cerchio rappresenta il Dao, la legge universale che crea, e ritma la vita esprimendosi attraverso questi due principi polari, rendendoli complementari.


 E' importante comprendere la complementarietà degli opposti perchè spesso i disturbi, fisici, psichici o misti si palesano come una predominanza di un fattore rispetto all'altro, o di uno squilibrio che crea opposizione piuttosto che fluidità. Non potremmo vivere 24 ore al buio (yin), e non potremmo fare a meno di dormire e prendere energia dai raggi del sole (yang). L'equilibrio è dato dall'incontro degli opposti e dal loro scambio continuo. L'uomo allora dovrebbe smettere di cercare la cura perfetta, piuttosto mirare alla guarigione.
Il ponte tra i poli è la dynamis creata dall’amore, come fonte di ricostruzione dove il binomio di tensione fra i due estremi si dissolve per diventare ciò che il macrocosmo esprime nel micro: tutto è Uno. Percepire quest’unità per l’uomo è molto difficile, perché il nostro pensiero è abituato a procedere attraverso la polarità. Ma se attraverso un percorso di integrazione riusciamo a comprendere e a sentire che  “la polarità è come una porta che su un lato ha la scritta entrata e sull’altro la scritta uscita, è sempre la medesima porta, però a seconda del lato da cui noi ci avviciniamo vediamo uno dei due aspetti del suo essere”, arriveremmo a liberarci dell’idea che esista una strada giusta o sbagliata, e ad accettare un terzo punto di vista che sarà quello unico e personale di ognuno di noi in un determinato momento.
http://www.youtube.com/watch?v=4PsenU-sJcc&feature=related

Il Tempo . Kahlil Gibran.



E un astronomo disse: Maestro, che sai dirci del Tempo?
Ed egli rispose:
Voi vorreste misurare il tempo, che è smisurato e immisurabile.
Vorreste conformare la vostra condotta,
e perfino guidare il corso dello spirito, secondo le ore e le stagioni.
Vorreste fare del tempo una corrente sulle cui rive sedervi a guardarla fluire.
Eppure ciò che in voi è senza tempo, sa che la vita è senza tempo.
E sa che ieri e domani non sono che il ricordo ed il sogno dell'oggi.
E che quello che in voi medita e canta vive tuttora nei confini di quel primo momento
che seminò le stelle nello spazio.
Chi di voi non avverte che il suo potere d'amare è senza limiti?
Eppure chi non sente che questo stesso amore, sebbene illimitato,
è racchiuso nel centro del suo essere, e che non muove da pensiero d'amore verso pensiero d'amore,
né da fatti d'amore verso altri fatti d'amore?
E non è il tempo, come è anche l'amore, indiviso ed immoto?
Ma se dovete nella vostra mente scandire il tempo in stagioni,
lasciate che ogni stagione cinga tutte le altre,
E che l'oggi abbracci il passato col ricordo, ed il futuro col desiderio.

Fiaba Indiana: Il Vaso rotto


C'era una volta in un certo paese un Bramano di nome Svabhavakripana, che significa «taccagno nato». Aveva accumulato grandi quantità di riso chiedendo l'elemosina, e dopo averselo mangiato tutto a cena, riempì un vaso con quel poco che ne restava. Appese il recipiente al muro, si sdraiò sul divano sottostante guardando intensamente verso il vaso e cominciò a pensare:

' Ecco, il vaso è pieno di riso; se dovesse esserci una carestia, ne ricaverei almeno un centinaio di rupie vendendolo. Con quei soldi comprerò due capre, che mi faranno i capretti ogni sei mesi, così in poco tempo avrò un intero gregge. Poi, vendendo qualche capra, comprerò anche delle vacche, così mi faranno i vitelli. Venderò i vitelli, e con il ricavato mi comprerò i bufali, e con i bufali, comprerò anche le giumente, le quali partoriranno tanti cavalli. E quando li avrò venduti, farò un sacco di oro, e con l'oro potrò comprarmi una grande casa a quattro ali. E così un bravo Bramano verrà a casa mia, e mi darà in sposa la sua bella figlia, con la sua ricca dote. Essa mi darà un figlio, e lo chiameremo Somasarman. Quando sarà grande abbastanza per saltellare sulle ginocchia di suo padre, siederemo insieme con un libro sul retro della scuderia, mentre io leggerò, il ragazzo mi vedrà, salterà dalle ginocchia della mamma e verrà sulle mie. Se si avvicinerà troppo agli zoccoli del cavallo, mi farà arrabbiare e chiamerò sua madre di prendere il bambino. Ma già immagino che naturalmente non mi ascolterà perché sarà troppo presa da qualche mestiere domestico: allora mi alzerò e le darò un tale calcione nel sedere che..'

E nel dire fra sé e sé così, diede un tale calcio con il piede al vaso, che si ruppe in mille pezzi, e tutto il riso gli si rovesciò addosso, riempiendolo di bianco. Perciò da quel momento è nato il detto:

«Essere come il padre di Somasarman: quello sciocco che faceva sciocchi programmi per il futuro, che diventò tutto bianco.»

Indian Fairy Tales
J. Jacobs.